i colori dell'integrazione

i colori dell'integrazione
foto tratta dal sito: www.artenelaulaen.blogspot.com

i 3 fattori di discriminazione delle donne straniere in Italia:IL CASO ALBANESE

  Nazione Indiana

Fenomeni come i flussi migranti trasnazionali contribuiscono ampiamente al dibattito intorno a questioni come la cittadinanza, la legalità, la sicurezza, la giustizia, l’integrazione sociale ed economica, la tutela della vita familiare. Si tratta di temi che riguardano in primo luogo gli immigrati, ma che, di fatto, interpellano tutta la comunità civile in ordine a questioni inerenti l’intreccio tra particolarismo e universalismo dei diritti. Appare particolarmente evidente, quindi, la necessità di discutere intorno alle differenze culturali, alle loro trasformazioni, all’impatto sulle culture autoctone.
A tal proposito, nell’ambito del fenomeno migratorio, risulta interessante volgere l’attenzione al mondo femminile, non sempre oggetto di accurata riflessione: si tende, infatti, a ragionare in termini maschili, anche se la radicalizzazione della presenza immigrata sul territorio italiano, non più prevalentemente appannaggio di uomini soli ma ormai di taglio familiare, ha da tempo posto la questione di prendere in considerazione la valenza euristica della variabile di genere.

Guardare al mondo immigrato attraverso tale punto di vista significa, infatti, tener presente, in primo luogo, che il marker dell’appartenenza sessuale ha valenza fortemente simbolica in tutte le culture (pur con significati diversi) e che rappresenta una delle principali categorie a partire da cui le società stabiliscono norme di vita, regolano l’agire sociale, governano i destini individuali (di conseguenza anche l’agire migratorio) e in secondo luogo che si tratta di uno dei principali mezzi attraverso cui le società strutturano e manifestano i rapporti di potere, senza dimenticare quanto sia interessante osservare ciò che emerge.
Basti considerare, per esempio, come le donne straniere nel nostro paese siano discriminate almeno sotto tre aspetti: in quanto donne (soprattutto sul piano del riconoscimento di competenze professionali), in quanto immigrate (quindi sottoposte a tutti i processi di esclusione sociale che tipicamente colpiscono gli immigrati) e anche in quanto madri (se gli autoctoni risolvono il problema di un welfare debole con la rete parentale, le donne immigrate anche in questo senso sono penalizzate) [Ambrosini, 2005: 134].
La questione appare complicarsi se vi è un’appartenenza a una comunità particolarmente stigmatizzata come quella, per esempio, albanese: le donne albanesi rischiano di essere prese in considerazione solo attraverso stereotipi negativi, relativi al mondo della prostituzione o della microdelinquenza. La nazionalità albanese appare, infatti, una tra le più etichettate da pregiudizi sociali, generalmente seconda solo alle comunità nomadi, pur essendo una delle nazionalità da più tempo presente nel nostro paese, con cui abbiamo condiviso anche una serie di vicende storiche (1). L’immigrato albanese incarna molto bene, infatti, la raffigurazione simmeliana dello straniero come soggetto che è contemporaneamente vicino e lontano, voluto ed escluso, ricercato e rifiutato (2). Nell’immaginario comune della società italiana, in particolare grazie alla diffusione di una rappresentazione spesso distorta da parte dei mass-media (3), la donna albanese, qualora non sia coinvolta in attività di prostituzione (4), resta invece madre, moglie, sorella, figlia di uomini che sono dediti alla microcriminalità nelle aree ricche del Nord e, pertanto, non affidabile, pericolosa, dai costumi corrottill’intreccio tra le disuguaglianze di genere e le disuguaglianze Certamente, il fenomeno della prostituzione, così come quello della criminalità, che vedono il coinvolgimento della comunità albanese, sono una realtà, tuttavia una recente ricerca condotta a Brescia negli anni 2005-2006, rispetto al mondo femminile albanese di prima e seconda generazione mette in luce anche aspetti spesso non immediatamente visibili ai nostri occhi, ma che ci permettono di scoprire elementi che vanno al di là dei pregiudizi. Ne è emerso un quadro composito dove la comunità albanese, mostra, attraverso le speranze delle sue seconde generazioni femminili e la capacità di tenuta delle loro famiglie, creative costruzioni di identità ibride, nonché originali possibilità di integrazione.
Ripercorrendo alcuni dei risultati emersi, va richiamato, in primo luogo, per esempio, come diversamente tra prima e seconda generazione venga vissuto l’evento migratorio. Anche se nell’ambito di un nucleo familiare l’esperienza migratoria rappresenta sempre una frattura esistenziale non ricomponibile tra un prima e dopo, chiaramente i soggetti giunti, quando gli elementi base della propria identità si sono già affermati vivranno un impatto e un senso di sradicamento più intensi, e tendenzialmente svilupperanno un senso di appartenenza “doppia”, con un legame sia rispetto al contesto di origine che al nuovo ambito di vita, a differenza di coloro che nascono nel nostro paese da genitori stranieri o vi giungono in tenerissima età, i quali con maggior probabilità daranno origine a un senso di appartenenza connesso prevalentemente al contesto di approdo.
Diverso anche il modo con cui le due generazioni reagiscono all’impatto con una società stigmatizzante: mentre nelle seconde generazioni, fra le adolescenti, pare ravvisabile una maggior tendenza al mimetismo e un’enfasi sui tratti stereotipati associabili al genere femminile (essere buone, disponibili, tranquille, generose), nelle prime non è raro il caso di donne che si adoperano per il riscatto del lato buono dell’identità albanese, specie se coinvolte in attività di mediazione culturale o se in contatto con realtà pubbliche istituzionali. Anche tra le adolescenti, tuttavia, in alcuni casi, soprattutto se in ambito familiare vi è un’attenzione specifica dedicata alle proprie origini, vi è un particolare attaccamento verso la propria realtà culturale, sebbene vi sia anche il desiderio di essere riconosciute come degne di appartenenza anche dalla comunità italiana.
Per quanto riguarda un altro aspetto, ossia l’atteggiamento riguardo alle chance di vita (7) delle seconde generazioni, rilevante si è mostrato il condizionamento subito rispetto dal progetto migratorio familiare. In particolare, il comportamento riscontrato nelle adolescenti, pare distanziarsi da una logica individualistica (le ragazze non sono incoraggiate a scegliere esclusivamente sulla base di ciò che a loro piace) e abbracciare una predisposizione a una scelta del proprio futuro di tipo familiare, sulla scorta delle aspettative che hanno alimentato la partenza dal proprio paese. Inoltre, pare venga assunta un’ottica, tendenzialmente, a valenza strumentale, anziché espressiva, ossia le adolescenti scelgono il loro futuro soprattutto al fine di realizzare precisi obiettivi economici e di mobilità sociale e non per dare spazio alle proprie aspirazioni personali. Il condizionamento familiare rispetto alle chance di vita è evidentemente un aspetto che va a influire anche sui percorsi della componente autoctona, tuttavia, le aspettative familiari, in seguito a un investimento migratorio, possano premere ben più pesantemente sui destini delle seconde generazioni straniere. I processi di scelta appaiono, peraltro, anche in parte condizionati dalla variabile di genere, per cui la propensione nel caso della comunità albanese è quella di orientare le proprie figlie verso percorsi tipicamente femminili, che generalmente implicano flessibilità d’orario, coinvolgimento relazionale intenso, ma anche mansioni di scarso prestigio e maggior instabilità occupazionale.
Dal punto di vista del capitale sociale, sia le prime che le seconde generazioni femminili soffrono di una debolezza nella possibilità di costruire reti relazionali ricche, sia all’interno della propria comunità presente in Italia, sia rispetto alla componente autoctona, il che incide in particolare sulle seconde generazioni in termini di integrazione e rispetto alle proprie scelte di vita future.

Nessun commento:

Posta un commento